Pare che la situazione della pandemia globale stia iniziando a diventare comprensibile nei suoi sviluppi. Sembra inoltre che la cosa abbia evidenziato con prepotenza quanto i lavoratori dello spettacolo siano fuori da ogni tipo di tutela, come per altro un sacco di altre persone. Aggiungiamo che la politica culturale italiana è piuttosto miope. Ma si possono fare soldi con la cultura? Basti pensare che l’industria culturale è un asset strategico come già è per Stati Uniti, Inghilterra e Germania, guarda caso paesi considerati egemoni o “esportatori” di cultura. Insomma chi vuole essere una guida deve fare cultura, e lo deve fare per essere traino ideologico, modello di pensiero e di innovazione tecnica ed estetica.

 

Soldi e cultura? Ma l’arte non si dovrebbe inquinare con il denaro…

Sembra avvilente parlare di soldi quando si pensa all’arte, ma un’industria culturale esiste ed è affamata di contenuti. Badate bene che non intendo “contenuti” nel senso di “materiale” per pasturare social vari ed eventuali. Intendo contenuti che abbiano una qualche rilevanza sul piano espressivo, tecnico ed estetico. Insomma c’è fame di cose VERE qualunque cosa significhi per ognuno di noi. Anche un prodotto leggero e “d’evasione” può e deve essere arte.

Vengo al punto. L’industria della creatività è una montagna di soldi che cresce ogni minuto e crescerà nei prossimi anni  (la fonte è uno studio del 2014 cui segue il 2015).

 

L’industria culturale in Italia nel 2015 – ItaliaCreativa 2° edizione

 

Decisamente si, fare soldi con la cultura è possibile. Anzi sarebbe il caso di rendersi conto che il motore della ripresa post covid-19 è già in casa pronto a trainare altri comparti in modo dirompente se solo ne fossimo consapevoli a livello nazionale. Ad esempio secondo i grafici qui sopra l’industria culturale e creativa è prossima a quella chimica in termini di valore economico, ma interessa un’occupazione diretta molto maggiore.

Si ma io non mi sento rappresentato!

Vero! Infatti tra i tanti problemi, uno si sta palesando oltre il ridicolo: manca un coordinamento delle associazioni di musicisti. Proprio così, la rappresentanza c’è ed è attiva. Tuttavia parliamo di realtà a compartimenti, isolate e quindi con poca capacità di incidere a livello nazionale. Fortunatamente la gravità della situazione ha prodotto una risposta testimoniata in questo articolo che interessa diverse realtà.

Ora mi rivolgo al mondo della musica, che conosco da qualche anno data la mia formazione.
Conserviamo la nostra sana indipendenza in quello che facciamo, ma è il momento di scoprire una possibilità che abbiamo avuto sempre davanti a noi e abbiamo ignorato più o meno volutamente. Siamo una comunità. Una comunità di persone che litiga, ma una comunità. Non sarebbe meglio essere indipendenti e autonomi nella creazione e una comunità nel dialogo, piuttosto che una comunità di gregari imitatori solipsisti e litigiosi?

GB